Il buono che resta
Il 5 febbraio è la GIORNATA NAZIONALE CONTRO LO SPRECO. Ogni anno (fonte Sito Slow Food) in Italia sprechiamo 5 milioni di tonnellate di cibo perfettamente edibile. E il fatto peggiore e che ci coinvolge tutti è che noi consumatori abbiamo la responsabilità maggiore. Buttiamo nella spazzatura il 43% del totale del cibo usato un’enormità. Se le istituzioni hanno la loro responsabilità, non possiamo dimenticarci le nostre. Di seguito la bellissima introduzione di “ A Tavola senza sprechi” (Slow Food Editore) un bel ricettario che ci può dare le dritte giuste per imparare a non sprecare nemmeno una briciola di pane e sorprenderci e sorprendere di gusto.
«Non si lascia niente nel piatto, pensa ai bambini africani che muoiono di fame!». Declinato secondo diverse varianti dal medesimo significato, questo tormentone ha accompagnato (e tormentato), almeno fino a qualche decennio fa, l’infanzia di generazioni di povere creature appartenenti più o meno a ogni classe sociale. Un retaggio del passato, di quando l’Africa era appena un ricordo coloniale del nonno o forse un libro di foto di gente dai costumi bizzarri, penzolanti seni al vento, bimbi dalle ossa fragili e dalla pancia gonfia di nulla, anni luce dalla quotidiana tragedia umanitaria che ritroviamo sui barconi che giungono nelle nostre coste. Un tempo, quello, in cui la guerra mondiale era lontana ma non abbastanza, e probabilmente per questo ci si ricordava ancora di quando non era poi così scontato trovare il cibo in tavola. Un sentimento che vivaddio sembra non appartenerci più e per il quale è bene non provare nessun rimpianto: a inculcare sensi di colpa, peraltro come in questo caso palesemente fasulli (nessun bambino africano si è mai giovato del fatto che un suo coetaneo europeo o americano si sia sorbito una minestra di mafaldiana memoria), pensano già spesso certe società, religioni, credo politici.
È tuttavia innegabile che si sia passati, nel corso degli ultimi anni, da un eccesso all’altro: agli adulti, che siano o no genitori, sembra interessare sempre meno lo spreco del cibo. A fronte di una maggiore cultura alimentare, che spinge magari ad acquisti più consapevoli o oculati, ci si continua a scontrare con un’idea (no, non chiamiamola cultura, proprio no) di sovrabbondanza e finto risparmio, veicolata soprattutto dalla grande distribuzione; un’idea che punta a invogliare più all’acquisto compulsivo che alla risoluzione di una necessità vera e propria, secondo il vecchio ma sempre attuale leitmotiv «produci, consuma, crepa» condannato nella splendida “Morire”, una canzone che i Cccp incisero nel 1986 ma che sembra scritta appena adesso.”
Ecco allora la nostra idea per poter dire la nostra su questo tema così importante e che ci riguarda da vicino, perché oltre a consumatori siamo prima di tutto produttori. Per noi la cucina del recupero significa diverse cose: usare gli SCARTI, usare le PARTI POVERE di un prodotto, usare ciò che AVANZA ma anche RICORDARE. Certi piatti venivano mangiati perché altro non c’era e si cercava di sfruttare tutto il poco che era disponibile.
Non è facile mettere in piedi un menù antispreco perché paradossalmente richiede più lavoro di un menù normale e ci porta a chiederci se ne vale la pena. Forse è anche per questo che si è persa l’abitudine di recuperare ed è più facile buttare. Ma da qualche parte abiamo letto che cucinare è un atto d’amore, ed effettivamente lo è. Per noi, per chi mangia ciò che preparo. Ma è anche rispetto per chi o cosa era quel cibo, per la terra e l’acqua che lo crescono.