Un’antica tradizione Veneziana
La storia di Venezia è un emblematico racconto dell’intreccio fra pestilenze e devozione.
Già fra il 1575 e il 1577 ci fu una terribile pestilenza al cui termine fu costruito il tempio del Redentore, quale ringraziamento per la liberazione della città dal flagello. Ma la peste del 1630 è ben più grave di quella del secolo precedente.
È quella raccontata dal Manzoni nei Promessi Sposi, portata in Italia dai Lanzichenecchi. A Venezia la peste arriva con ambasciatori dei Gonzaga di Mantova; gli appestati vengono subito messi in quarantena nell’isola di San Servolo ma, ciò nonostante, il morbo si propaga in città.
Il Magistrato alla Sanità mette in atto tutte le cautele maturate con l’esperienza del secolo precedenti: non sono sufficienti. A fine settembre di fronte alla evidente impotenza degli uomini contro la malattia, il Patriarca Tiepolo invita tutto il popolo a pregare e a fare penitenza, invocando la misericordia del Signore.
Il 26 ottobre – già più di diecimila morti – il Doge Nicoletto Contarini, al termine di una Santa Messa a San Marco, pronuncia questa supplica:
«…Verxine Mare, se ne el To nome xe sta fondà sta Patria nostra, se li nostri cuori te xe sempre stai a Ti devoti, se tante prove de la To protesìon ti ne ga lassà, alora scolta sta nostra inplorasiòn, tièn da conto de le preghiere de el popolo sofarente! Xe vero semo de li pecadori, par cuesto a Ti se relvolxemo, cofà el nostro porto. Prega para nu el Divìn to Fio, parkè el salva li fioli soi, ke el para via e el dèsfa sto tremendo mal ke ne roxega le nostre vene, ke copa tanta xente, ke fa desparìr li To servidori […] contentite de sto umile dono de un Tempio […] indove ke li nostri fioli, e li fioli de li so fioli, tuti li ani li vegnarà a ringrasiarte a Ti Auxiliatrice e Avocada de sta nostra Veneta Serenissima Repubblica ».
La pestilenza cesserà nel novembre del 1631, dopo circa sedici mesi, lasciando però più di 80.000 morti nel Veneziano e seicentomila nel territorio veneto.
In base al voto pronunciato e alla grazia ricevuta, sorgerà la nuova, maestosa basilica della Madonna della Salute. Il Tempio, ultimato nel 1687, verrà consacrato dal Patriarca Alvise Sagredo, il 21 novembre, giornata dedicata alla Presentazione al Tempio di Maria.
E questa data per i veneti diventa il giorno della Madonna della Salute.
Da allora è tradizione che il 21 novembre i Veneziani percorrano il ponte di barche, tra Campo Santa Maria del Giglio e Calle San Gregorio, verso la maestosa Chiesa della Salute, a testimoniare il legame ancora vivo ed intenso esistente tra la città e la Madonna.
Il Poeta vernacolare Varagnolo così descrive la festa popolare della Salute:
“…i passa el ponte, i compra la candela,
el santo, el zaletin, la coronsina,
e verso mezodì l’usanza bela
vol che i vaga a magnar la castradina”.
E in questo giorno è appunto tradizione mangiare la castradina, minestra a base di verze e carne di montone salata, affumicata ed essiccata al sole. Ora è un piatto tipico dei giorni intorno alla festa della Salute; un omaggio alla fedeltà del Dalmati (sciavoni) che – nel lunghissimo isolamento sanitario a cui fu costretta Venezia dalla terribile pestilenza del 1630 – rifornirono la città portando nelle loro barche da trasporto (trabacoli) questa carne che, in quanto salata, affumicata ed essiccata, non solo si conservava più a lungo ma anche – per la provenienza e per i trattamenti di conservazione avuti – era ritenuta meno contagiosa della carne fresca e delle altre derrate alimentari provenienti dalle campagne veneziane.
La castradina e la sua materia prima – la carne di montone salata, affumicata ed essiccata al sole – erano però già da secoli una consuetudine alimentare per i veneziani. Un primo accenno storico alla castradina è in un calmiere pubblicato dal Doge Sebastiano Ziani nel 1173, dove è documentata l’ importazione di sicce carnis (carne secca) de Romania et Slavina. Per le peculiari proprietà di conservazione, la carne di montone salata, affumicata ed essiccata, andava molto bene per la razione alimentare delle truppe. Da qui una delle due spiegazioni del nome castradina:
la prima, la più semplice, da [montone]“castrato”; la seconda da “castra”, caserme e depositi di fortezza nelle isole e nei possedimenti di Venezia, dove si conservavano le carni salate, affumicate ed essiccate, ad uso degli equipaggi della flotta e delle truppe di terra. Una volta all’anno, in autunno, le carni in deposito venivano sostituite con carne nuova e lo stoccaggio vecchio veniva distribuito gratuitamente alle popolazioni del luogo. A Venezia venivano inviate le carni migliori, che – dopo la peste del 1630 – venivano distribuite in occasione della festa della Salute.